venerdì 13 marzo 2009

Questione braciantile

La maggior parte delle famiglie palagonesi vive grazie allo stipendio di un bracciante agricolo. Negli ultimi anni, inoltre, si è avuto un forte incremento anche di donne, ormai parte sostanziale del mondo bracciantile. Purtroppo a Palagonia l’operaio non usufruisce dei diritti del suo equivalente in Italia. I fondamentali diritti dell’operaio, sanciti dalla costituzione e dallo statuto dei lavoratori, sono continuamente ignorati dai datori di lavoro e sconosciuti al bracciante agricolo.
Problema più eclatante è il salario: la maggior parte del mondo bracciantile non percepisce la somma stabilita, nella busta paga, da un contratto nazionale firmato da governo, confindustria e sindacati. La parte di stipendio non data al bracciante è usata per pagare i suoi contributi in vista della pensione (in pratica la lavoratrice paga doppia) consentendo così un forte introito del profitto del “principale”.
Altro serio problema è l’orario lavorativo, indecente per una persona umana nel ventunesimo secolo. Un bracciante agricolo, in media, lavora 12 ore al giorno (con massimi che raggiungono le 16); una condizione di cui non si lamenta poiché essendo pagato “a ora” coglie un notevole aumento di stipendio. Dove sta il problema? Le ore in più, il cosiddetto straordinario, sono pagate come ore normali.
Senza parlare dell’assenza di un salario minimo (niente merce = niente lavoro = niente stipendio = molti problemi), pagamenti, a volte, in ritardo (causando debiti e acquisti in credito), assenza di cassa d’integrazione in caso di licenziamento e mancanza di pagamento nel caso di malattia o di maternità.

Tralasciando il lato economico, l’ambiente lavorativo è sgradevole (a volte si lavora in campagna mentre piove, fatica in più ma stipendio uguale) e con alti rischi d’incidenti; inoltre cambiamenti improvvisi di orari e pause pranzo minimizzate.
Il lavoratore non ha mai la certezza della giornata, potrebbe lavorare pochi giorni al mese o perfino nessuno.
In pratica la condizione del bracciante agricolo è una via di mezzo tra disoccupazione e precariato. Non ha un contratto a termine indeterminato, ma stagionale. Concretamente è un contratto che possiamo considerare “a fiducia”. Infatti, all’inizio della stagione del raccolto il bracciante viene “riconfermato” dal datore di lavoro se il suo lavoro durante la stagione passata è stato considerato soddisfacente. Nel caso contrario l’operaio è lasciato al suo triste destino di disoccupato senza avere aiuti economici.
Esso viene ricattato continuamente dal datore di lavoro: non può lamentarsi, non può scioperare (poiché non sarebbe pagato, scioperare significa, secondo l’operaio, la perdita di circa 50 euro inutilmente), deve subire inerte il suo triste stato di sottomissione.
Insomma condizioni da operaio di fine ‘800.

Proprio per questo Rifondazione denuncia i gravi reati commessi continuamente dalle aziende agricole appoggiando seriamente il progetto “movimento braccianti”, sindacato nato da poco che fissa come obiettivo la lotta alle dure ingiustizie che ogni giorno devono subire passivamente i lavoratori. Vergognoso è il silenzio dei restanti sindacati che sono da anni in complotto con gli imprenditori.
Basta con la logica del profitto: riconosciamo l’importanza economica della classe operaia palagonese attribuendogli i giusti meriti e diritti!

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